Abbiamo intervistato Andrea Rossi, Direttore Generale di FMSI (Fondazione Marista per la Solidarietà Internazionale), Fondazione che ogni giorno lavora per garantire un futuro a bambini e bambine in condizioni di vulnerabilità ed emarginati, attraverso progetti di istruzione, advocacy e solidarietà.
Il Direttore ci ha raccontato del lavoro che FMSI sta realizzando nella città di Aleppo, in Siria, supportando gli anziani rimasti soli e con difficoltà di deambulazione attraverso un programma che prevede un’assistenza completa a questi anziani (circa 600 persone rimaste sole, i cui familiari sono scomparsi a causa della guerra, immobilizzati a letto o in situazione di grave povertà e i cui figli sono dovuti emigrare all’estero) attraverso visite domiciliari dei volontari Maristi Blu. Ad ogni assistito viene garantito un pasto caldo cucinato da signore volontarie, assistenza sanitaria di base e cura personale, amicizia e calore umano.
- La situazione in Siria è molto complessa e di come vive la popolazione si parla poco. Nelle situazioni più difficili, sono sempre i fragili a pagare il prezzo più caro. Ci può raccontare qual è la situazione in particolare delle persone anziane ad Aleppo e dintorni?
La condizioni di vita delle persone di Aleppo sono estremamente difficili. Stiamo parlando di un paese che ha visto susseguirsi una guerra lunga e spietata, le sanzioni internazionali che hanno messo un popolo in ginocchio, il covid, un’epidemia di colera e ora il terremoto. Non mi vengono in mente molti scenari simili nella storia. Gli anziani purtroppo, come tutti i più fragili, pagano il prezzo più alto. Chi ha potuto è fuggito da Aleppo, lasciando indietro i propri genitori o i propri nonni spesso da soli, bisognosi di assistenza o semplicemente di compagnia. Ho visto con i miei occhi decine di persone anziane completamente da sole nelle loro case. I volontari dei Maristi Blu che portano loro due pasti caldi a settimana sono spesso le uniche persone con cui parlano.
- Quanto il terremoto ha peggiorato una situazione di per sé già molto grande e quanto gli scenari di politica internazionale relativi alla Siria hanno pesato nell’organizzazione dei soccorsi immediati alle vittime?
Benché le sanzioni internazionali siano de iure concepite per non impedire gli aiuti umanitari, de facto hanno reso molto difficile le operazioni di primo soccorso, ad esempio ad Aleppo dove erano necessari macchinari pesanti per scavare sotto le macerie. Anche l’invio di denaro dovrebbe essere possibile, tuttavia solo mettendo la parola “Siria” in una qualsiasi transizione bancaria questa viene immediatamente bloccata. L’importazione di qualsiasi bene tecnologico è pressoché impossibile e così è stato durante il terremoto. Parliamo ovviamente di Aleppo e dei territori sotto il controllo del governo Assad, non riconosciuto come interlocutore credibile da US e UE, che infatti hanno veicolato la maggior parte dei loro aiuti ad Idlib e nel nord est. Non entro nelle questioni politiche, ma c’è molto da riflettere su quello che la comunità internazionale avrebbe potuto fare e non ha fatto, ad Aleppo, in nome di un rigore che ha colpito e continua a colpire esclusivamente il popolo Siriano.
- Quali sono i principali problemi che la popolazione siriana affronta quotidianamente?
Il 90% dei Siriani vive sotto la soglia di povertà con uno stipendio medio (per chi ha lavoro) dell’equivalente di circa 30-40 USD al mese. Ad Aleppo ci sono due ore di elettricità al giorno, la benzina è razionata (50 litri a famiglia all’anno) il gasolio per alimentare i generatori è razionato. Quando il terremoto ha colpito Aleppo le persone sono scese in strada al buio e al gelo con una temperatura che è scesa fino a -4 nei giorni successivi alla prima scossa. Oltre alle condizioni economiche, difficilissime, le innumerevoli sfide come l’accesso al cibo, all’acqua potabile, all’istruzione per i bambini, permane una drammatica condizione psicologica: le persone sono stremate, dalla paura, dagli stenti. E per la prima volta ho visto, anche negli occhi di alcuni giovani, finora i più resilienti e fiduciosi nel futuro, un senso di rassegnazione alla disperazione, un abbandono alla propria condizione di disgrazia che mi ha lasciato senza parole.
- I Maristi Blu si occupano in particolare di bambini, ci racconta come vi siete trovati ad occuparvi di anziani e come nasce il Programma “Sharing Bread”?
Ci sono 14 diversi progetti ad Aleppo, molti dei quali rivolti ai bambini, ma non solo: il progetto “sharing bread” è rivolto agli anziani di Aleppo rimasti soli, e consiste nella preparazione e consegna a domicilio di un pasto caldo, cucinato dalle donne volontarie nel centro dei Maristi Blu, a circa 250 anziani due volte a settimana. Questo lavoro si è intensificato moltissimo nei giorni immediatamente successivi al terremoto per dare un pasto caldo alle migliaia di persone rimaste senza casa che venivano al centro dei Maristi Blu, ma il progetto non si è mai fermato anzi: grazie ai fondi raccolti per il terremoto abbiamo potuto raddoppiare il numero di pasti caldi distribuiti. Il senso della consegna a domicilio è essenziale: gli anziani assistiti sono spesso da soli, con ridotta mobilità o addirittura immobilizzati a letto e spesso i giovani volontari dei Maristi Blu sono le uniche persone con cui parlano. Un sorriso, una carezza, un poco di calore umano riempie le vite di queste persone che hanno fame ma anche desiderio di sapere che non sono rimaste da sole, che c’è ancora qualcuno nella loro vita che pensa a loro.
- Dai vostri racconti emerge una Nazione da cui tutti desiderano scappare; come si può convincere l’opinione pubblica a sostenere e aiutare le persone anziane che restano?
Oggi se chiedi a 100 Aleppini cosa desiderano, 99 ti risponderanno che vogliono lasciare il paese. Sono poche le persone che hanno deciso di rimanere, tra questi ricordiamo il fratello Marista George Sabè e il medico di Aleppo Nabil Antaki e sua moglie Leyla: loro hanno scelto di rimanere per curare la loro Aleppo ferita. Molte delle persone rimaste non hanno avuto la possibilità di fuggire, tra questi sicuramente moltissimi anziani.
Noi dobbiamo fare in modo che non ci si dimentichi della Siria. Qualcuno azzardò a dire che “grazie” al terremoto la parola Siria era riapparsa sui giornali e l’opinione pubblica aveva ricominciato a ricordarsi della sua esistenza. Questo da un certo punto di vista può anche essere vero tuttavia, purtroppo, l’effetto è destinato a durare molto poco. I problemi sono ancora lì con o senza terremoto.
Sta alla società civile cercare di riporre la giusta attenzione sul tema e sostenere chi, con coraggio, è rimasto lì ad aiutare i più fragili.
- In Siria, i Maristi Blu svolgono anche attività di sostegno all’avviamento di attività economiche: in cosa consistono?
In un’economia segnata dalle sanzioni internazionali parlare di avvio di attività economiche sembrerebbe paradossale eppure è così. Uno dei mestieri più ricercati è il riparatore: di automobili, di apparecchi elettrici o elettronici. Con le sanzioni qualsiasi bene tecnologico non può essere importato; pertanto, saper riparare automobili ed elettrodomestici di 12-13 anni fa è una competenza essenziale. Quasi ogni strada di Aleppo ha una bottega che ripara apparecchi elettronici o un’autofficina.
I Maristi Blu propongono vari progetti di formazione professionale e accompagnamento al lavoro estremamente concreti e basati sulle esigenze reali del mercato del lavoro locale: i datori di lavoro, spesso i proprietari di queste botteghe, accolgono i ragazzi desiderosi di imparare un mestiere. Entrambi ricevono, dal progetto, un piccolo contributo mensile e alla fine del percorso, la quasi totalità dei ragazzi viene assunta o si apre a sua volta una propria attività.
- Fuggire dal proprio paese è il sogno di tanti giovani siriani. Ma non vogliamo credere che sia l’unico: ne hanno altri?
I giovani hanno semplicemente voglia di una vita dignitosa e spensierata, libera dagli stenti e i drammi che hanno vissuto e continuano a vivere. Per impedire che fuggano dobbiamo dare loro la possibilità di scegliere un’altra opzione. Sarebbe necessario cominciare ora a ricostruire un paese che garantisca loro pieno accesso ai diritti e la concreta possibilità di un futuro migliore, di un lavoro, o di vivere liberi dalla paura.
- Quanti sono i vostri volontari attivi ad Aleppo? Di quali nazionalità? Che tipo di professionalità sono coinvolte nei vostri progetti di assistenza?
I 155 volontari sono tutti di Aleppo, perlopiù giovani tra i 20 e i 30 anni, ragazzi e ragazze, Cristiani e Musulmani. Ci sono molti studenti universitari, maestri di scuola di infanzia, ma anche psicologi e assistenti sociali. E’ una rete che lavora da anni in maniera capillare nelle zone più vulnerabili della città e questa capacità è stata essenziale durante la fase di emergenza del terremoto per raggiungere immediatamente i più bisognosi.
- Riuscite ad elaborare un messaggio di speranza per il futuro della Siria oppure, allo stato attuale, non riconoscete i presupposti per il miglioramento di una situazione sociale, economica e sanitaria drammatica?
Il messaggio di speranza è lo stesso che abbiamo per il mondo: crediamo in un mondo più giusto, dove non esistono esseri umani di serie b, dove siamo tutti in grado di contribuire e volenterosi di costruire una società più giusta, che consenta di aiutarci l’un l’altro, dove non si muore di fame, di stenti, di solitudine o di disperazione. In questo mondo che tutti vogliamo migliore, la Siria è casa nostra, un altro angolo sul quale dobbiamo tutti rimboccarci le maniche per trasformarlo in un piccolo giardino di speranza. Perché la solidarietà è contagiosa! E se cominciamo, non ci fermiamo più.
E’ possibile effettuare una donazione a FMSI per contribuire alla realizzazione dei progetti al seguente link:
https://fmsi.ngo/dona-ora/