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Amore nella terza età: Associazione Kiki racconta il progetto “Rete di vite, vite di Rete”

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Nel giorno di San Valentino abbiamo voluto intervistare Associazione Kiki, una realtà fiorentina che opera in ambito socioeducativo, psicologico e culturale, prefiggendosi lo scopo di promuovere il benessere della comunità.

Buongiorno e grazie per aver accettato questa chiacchierata.
La prima domanda che vorremmo porvi è la seguente: come nasce Associazione KIKI?

«Associazione Kiki nasce dall’idea di quattro amici. Lavoravamo tutti in ambito sociale – come educatori e psicologi – e ci eravamo resi conto che, a fronte dei rischi di isolamento, sofferenza psichica, condotte antisociali tipici dell’età giovanile, il territorio non offriva – soprattutto ai ragazzi con qualche difficoltà – spazi dove socializzare e passare il tempo libero.
L’Associazione è nata così, intorno ad un primo progetto “Tutti a giro” che offre ad un gruppo di ragazzi e ragazze la possibilità di cimentarsi in attività ludiche e di esplorazione del mondo al di fuori della rete familiare ma sempre in un contesto sicuro»
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Sul vostro sito – in merito al vostro nome – leggiamo: «Il nome KIKI, parola giapponese che racchiude in sé i concetti di pericolo e opportunità, riflette la profonda convinzione che ogni situazione di crisi o difficoltà offra in realtà opportunità di crescita e miglioramento attraverso l’attivazione di processi di empowerment e resilienza».
Ecco, il concetto di resilienza è ancora valido per un anziano?

«Crediamo che il concetto di resilienza – come quello di promozione della salute nelle dimensioni bio-psico-sociale – siano validi ed importanti per l’intero il ciclo di vita.
Gli anziani hanno una condizione di fragilità tipica dell’età che stanno vivendo.
Crediamo che un contesto facilitante e ricco di stimoli e relazioni possa promuovere in loro la resilienza, intesa come la possibilità di non subire una condizione di passività e di riduzione delle opportunità ma di pensare invece alla propria vita come ancora suscettibile di cambiamenti e innovazione. Gli anziani possono essere aiutati nel riscoprire desiderio e vitalità grazie ad una comunità che li valorizzi e si prenda cura di loro».

La pandemia ha messo a dura prova numerose realtà: in che modo siete stati colpiti dagli eventi degli ultimi due anni ed in che modo avete affrontato le difficoltà derivanti?

«Quando è iniziata la pandemia eravamo agli inizi del progetto “Rete di vite, vite di Rete”, avevamo tante idee ed eravamo sul punto di iniziare a realizzarle. Un laboratorio intergenerazionale dove i bambini di una scuola primaria si sarebbero incontrati con gli anziani di una RSA, un documentario teatrale per approfondire il tema dell’amore nella terza età, i laboratori nelle scuole superiori per promuovere il volontariato e sviluppare le capacità comunicative intergenerazionali. Ma lo scenario si è stravolto, le classi in dad, i teatri chiusi, gli anziani da proteggere. Così abbiamo avuto bisogno di pazienza, fiducia e anche noi di resilienza. Abbiamo cercato di tenere fino ad oggi vive le braci di questo bel fuoco che era divampato: questo è stato possibile solo grazie alla passione e la fiducia che tutta la rete ripone nel progetto».

Il progetto “Rete di vite, vite di Rete”: cosa racconta questo nome e quali sono gli obiettivi di questo progetto?

«L’immagine di una rete, come simbolo delle relazioni che circondano un individuo e che si creano all’interno di un gruppo o di una comunità è un’immagine a noi molto cara. Quanto più la rete sarà fitta e solida tanto più la comunità sarà in grado di prendersi cura dei suoi membri e – come un paracadute – di sostenere le situazioni di fragilità.

Ed è proprio a questo a cui mira il progetto: a rafforzare quelle relazioni che troppo spesso vengono trascurate aprendo nuove prospettive di contatti, di incontro e di socializzazione. Vogliamo sensibilizzare la cittadinanza, ed in particolare le nuove generazioni diffondendo una cultura della terza età che ponga l’attenzione sulle dimensioni positive e vitali dell’invecchiamento e dando voce ad una memoria storica da custodire e tramandare. Così nelle varie iniziative che compongono “Rete di vite, vite di Rete”, le interviste agli anziani diventano un tesoro da scoprire e valorizzare: rappresentano lo scheletro da cui si è sviluppato il documentario “Ignisse una specie di” e rappresenteranno l’essenza della nuova iniziativa “Il colore della voce” in cui saranno i giovani a raccogliere le testimonianze degli anziani del loro quartiere per costruire un podcast audio dove la dimensione emotiva degli adolescenti e le esperienze di vita degli anziani si fonderanno in un progetto comune. 

Il progetto è composto anche da altre iniziative, come la proposta “L’arte di invecchiare”, cicli di incontri rivolti alle persone anziane per aiutarle a intendere la vecchiaia come un periodo ancora utile e prezioso per sé stessi e per la comunità».

Siamo mossi da forte curiosità per il documentario teatrale “Ignisse – una specie di” ideato da Francesco Franzosi e andato in scena due volte al Teatro di Rifredi. Come nasce l’idea e quali sono i messaggi che troveremo all’interno? Quali saranno i suoi canali di distribuzione?

«Il documentario, come accennato, prende forma da una raccolta di testimonianze e diventa teatrale per la scelta del luogo di rappresentazione e per la presenza di cinque musicisti, una ballerina, due attori e un coro ad accompagnare le immagini e le voci dei protagonisti.
L’idea nasce all’interno della Rete di Solidarietà del Quartiere 2 di Firenze, che opera da più di 20 anni nell’assistenza agli anziani del quartiere attraverso l’opera di numerosi volontari. Francesco è uno di questi volontari e durante il suo servizio di assistenza ha documentato l’incontro e lo sbocciare dell’amore fra un signore ed una signora ultranovantenni. Una storia a suo giudizio talmente rara e delicata da volerla conservare attraverso registrazioni audio e video che si aggiungono alle testimonianze di alcuni anziani del quartiere, raccolte in precedenza. Negli anni sono state tante le persone ascoltate e aiutate dalla Rete. La memoria storica ricevuta in cambio è davvero ricca e di grande valore.
Abbiamo semplicemente sentito l’esigenza di custodirla ed esaltarla. Anche le testimonianze di alcuni bambini, soprattutto in merito al loro legame con i nonni e alla loro idea di “vecchio”, trovano spazio nel documentario, come a voler creare un ponte tra generazioni
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Il filo che lega tutto rimane comunque la storia d’amore tra i due protagonisti, Luciano e Liliana, che tra ricordi, risate e veri e propri sogni ad occhi aperti, toccano e mostrano diversi temi fondamentali: in primis lo svelamento del carattere, inteso con quanto ha plasmato la faccia, solcato la pelle, con i dolori, con le gioie e con ciò che ci ha reso unici e irripetibili. Poi l’amore, che nella terza età si può definire un amore diverso, nuovo. Infine, la morte: proprio lì, nell’ultimo capitolo del nostro personalissimo libro, quando non c’è più nulla da perdere, si pensa a cosa si potrebbe ancora far rivivere, recuperare, riparare. È un ritorno all’origine, un cerchio che si chiude, la rivelazione del nostro essere più profondo al di là delle paure e delle convenzioni sociali. È l’anima, che dopo una lunga ricerca di sé stessa si scopre senza età. 

Le serate al teatro di Rifredi ci hanno confermato la bontà di questo lavoro; pertanto, ci stiamo adoperando affinché possa essere diffuso ulteriormente. Anche con l’appoggio di Unicoop Firenze sezione Nord Est e della compagnia teatrale Catalyst, attualmente stiamo organizzando un’altra serata per il mese di maggio e stiamo pensando di realizzare un video dell’evento teatrale, proprio per poter sperimentare nuovi canali di diffusione. Condividere questa storia con più persone possibili e creare le basi per una riflessione sul tema sono in fondo gli obbiettivi di questa proposta».

Cosa significa amare, nella terza età?

«Trattandosi di una domanda aperta a innumerevoli interpretazioni, ci piacerebbe rispondere ricordando uno dei dialoghi intercorsi tra i protagonisti del documentario. Luciano invita Liliana a casa sua e lei chiede cosa deve portare: «basta la tua presenza» è la sua significativa risposta.
Da questa semplice frase si può evincere che nella terza età prende forma un sentimento che deriva da un tempo in cui non si hanno più grandi scopi, la progettualità di coppia è limitata ad un futuro molto prossimo, e si può forse cominciare a capire cosa sia l’amore fine a sé stesso. Nasce un eros che va oltre le fattezze del corpo, che scaturisce semplicemente da ciò che si è.
Ecco, forse questa potrebbe essere una delle possibili risposte alla domanda «cosa significa amare nella terza età».
Forse basta la presenza».

Stiamo per lanciare una nuova rubrica dal titolo “Voce del verbo”. Sarà il tentativo di andare oltre il significato lessicale delle parole, per trovare sfumature nuove. Il primo verbo sarà “Curare”. Qual è per voi il suo significato?

«“Curare” per noi vuol dire “prendersi cura”. Questo prendersi cura introduce maggiore umanità e volontarietà nell’accogliere chi ha tutti i livelli ha bisogno di sostegno, vicinanza, attenzione, aiuto e anche di cure. Chi si occupa degli altri sta in una relazione circolare dalla quale trae a sua volta un’opportunità di arricchimento. In questo senso curare ci restituisce umanità. Regala gioia».

Come Fondazione Alberto Sordi abbiamo da pochi giorni compiuto 30 anni di attività. Tra quattro anni, nel maggio del 2026, spegnerete 10 candeline.
Come vi immaginate, a quella data?

«Ci immaginiamo immersi in una rete ancora più fitta e solida. Con la forza e l’impegno nel portare avanti i nostri obiettivi, sperimentando nuovi linguaggi, nuovi strumenti e nuovi modi, rinnovandoci nella nostra capacità di costruire reti e relazioni in un mondo che cambia».

Di seguito, alcune foto del documentario teatrale “Ignisse – una specie di”:

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Al seguente link, il sito dell’Associazione Kiki:
https://www.associazionekiki.it/

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