Sull’inclusione della vecchiaia
Tratto dal libro di Luigi Maria Epicoco LA SCELTA DI ENEA Edizioni Rizzoli 2022 pag. 75 e ss – Riduzione e adattamento del testo di Grazia Dalla Torre
C’è sempre un non detto tra un padre e un figlio. Ci sono parole che ti rimangono arginate sulle labbra ma non fuoriescono. Perché è così difficile parlare con il cuore aperto, specie a coloro che si amano? Enea aveva sempre vissuto così il suo rapporto con il padre Anchise, fin da bambino. Passavano lunghe ore in silenzio insieme nella stessa casa, a fare gli stessi lavori, gli stessi gesti, ma si intendevano con il silenzio. Anche la notte in cui fuggirono, Anchise tentò di parlare per convincere il figlio a lasciarlo morire nella -sua casa, in quella terra che stava per scomparire, ma non poté resistere alle parole del figlio. È terribile quando un anziano si percepisce d’impedimento, ed Enea voleva esattamente togliere questa oscura idea dalla rassegnazione del padre. «Figlio mio, le mie gambe non mi permettono nessuna corsa. Andate voi!», ma Enea lo prese sulle spalle come se fosse un figlio. Non immaginava che quell’uomo che era stato così possente da giovane, ora pesasse come un bambino. La sensazione di sentire le braccia smunte del padre attorno al collo gli fece balzare il cuore nel petto. Mai · nessun abbraccio si erano scambiati, e ora erano avvinghiati l’uno all’altro non sapendo se avrebbero più rivisto l’alba. La possibilità della morte ci fa diventare immediatamente seri ed essenziali.
Se ci ricordassimo la nostra mortalità ci accorgeremmo che ogni istante, ogni occasione, ogni momento, proprio perché può essere l’ultimo, è anche unico. Vivere la vita con la consapevolezza della sua unicità darebbe a essa uno splendore nuovo, diverso. Ma siamo naturalmente portati ad allontanare da noi l’idea della morte. O è sempre così difficile accettare la nostra finitudine, e siamo incapaci di reggere il peso delle cose uniche. Eppure gli dèi è questo che invidiano ai mortali. L’immortalità per loro è una maledizione, un tempo che non finendo mai rende tutto uguale, e a tratti banale.
La mortalità cambia ogni cosa, ma mentre gli uomini desiderano essere immortali, gli dèi vorrebbero essere mortali. C’è così tanta infelicità tra il cielo e la terra. Chissà se un giorno qualcuno avrebbe potuto riconciliare questi due mondi, avrebbe potuto, per così dire riversare il cielo sulla terra, e la terra nel cielo. Ma ora non è importante questo, perché ciò che conta Enea ce l’ha sulle spalle e nel palmo della sua mano destra.
Ora erano sulla barca, era notte, e la corrente dondolava tutti come le braccia di una madre. Dormivano, ma né Enea né suo padre erano toccati da Morfeo. «Perché mi hai voluto con te?» chiese di soppiatto Anchise al figlio. Enea lo fissò e gli rispose pacatamente: «Padre, senza di te non avremmo avuto nessun futuro, ma solo un presente senza memoria». «Ma io sono vecchio, non servo nemmeno a remare, solo a rubare il posto a qualcuno.» «Come puoi dire questo?» replicò Enea. «Cosa dovrei insegnare a mio figlio? Che esiste un tempo in cui si è solo scarto? Vorresti insegnare questo a un ragazzo?» Gli occhi di Anchise si riempirono di lacrime: «Scusa, figlio mio, hai ragione, ma c’è un momento in cui la tentazione di sentirsi in colpa perché si è vivi prende il sopravvento sulla ragione». «Tu devi ricordarci ciò che conta. Devi raccontare la nostra storia. Devi aiutarci a fare tesoro di ciò che è già accaduto» disse Enea. «Mi accorgo di questo peso» disse Anchise. «I discorsi di un vecchio possono sembrare ripetitivi, ma credo che ci sia un bisogno profondo di salvare dall’oblio l’esperienza che ci ha segnati e che a nostra volta abbiamo ricevuto.» «E poi che dolore immenso avrei dato ad Ascanio privandolo di te. Non ha più la sua mamma, e continua a cercarla ogni volta che apre gli occhi. Avrei dovuto privarlo anche della tua presenza?» «Che strano destino il nostro, figlio mio, anche io persi mia madre da bambino, e tu non hai mai conosciuto la tua. Ora questo bambino è associato a noi nel medesimo destino.» «Mi domando spesso quale mancanza irreversibile ci portiamo dietro per il resto della nostra vita.» «Lo so, figlio mio, che non sono riuscito a colmare quel vuoto, ma forse è meglio così. Ho cercato di essere un padre, ma non ho nemmeno lontanamente provato a farti da madre. Non sapevo cosa significasse. Non ne conoscevo neppure io l’affetto.» Ci fu un prolungato silenzio. Ognuno forse cercava dentro di sé il volto di quella madre che non avevano mai conosciuto davvero, mentre il piccolo Ascanio dormiva con un’espressione serena. Era ancora troppo breve il tempo per capire cosa fosse accaduto. Era troppo breve il tempo per accorgersi di quel vuoto di madre. L’alba cominciava a illuminare l’orizzonte. Non si vedeva nessuna terra ma solo un’infinita distesa d’acqua. Il rumore della barca che lottava con le onde del mare aperto sembrava prolungare il canto della notte. Tra poco tutti avrebbero aperto nuovamente gli occhi, forse pensando di risvegliarsi da un brutto sogno che invece era ancora la realtà. È difficile estirpare la propria casa dal cuore. Essa ci accompagna anche quando ormai non ne abbiamo più una.
Anchise fissava il mare. Enea fissava Anchise, e pensava che in fondo è questo un padre, è questo un vecchio, uno che con gli occhi ti indica dove guardare. Veniamo al mondo senza vedere mai direttamente il mondo. Lo vediamo sempre riflesso negli occhi di chi ci ama. ·Se in quegli occhi troviamo il sereno, per noi il mondo sarà un luogo di pace, ma se in quegli occhi troviamo la tempesta, il mondo per noi sarà sempre un nemico. Negli occhi di Anchise c’era pace. E questo bastava a dare coraggio a Enea. Un mondo senza quegli occhi sarebbe stato insopportabile. E continuava a pensare alle parole del padre e a come fosse possibile anche solo immaginare di vivere senza gli occhi degli anziani. «Dove dovremmo guardare?» pensava tra sé Enea. «Chi ci avrebbe dato coraggio?» E capì in quel momento che è necessario invecchiare bene. È necessario diventare quegli occhi per qualcuno. Se un giorno il mondo avesse pensato di fare a meno degli occhi degli anziani, quel mondo sarebbe stato inesorabilmente vicino alla sua fine. Si può distruggere Troia e ricominciare, ma non si può mai ricominciare senza lo sguardo di qualcuno così. Non nasciamo dal nulla, nasciamo sempre dentro una relazione. È la vera umiltà di un essere umano, ricordarsi di avere bisogno di questo. Qualcuno ci ha voluti, ci ha accolti nel mondo e ha reso possibile la nostra vita. Non si può mai fare a meno di essere di qualcuno. È in questa strutturale appartenenza la nostra vera natura. Enea ora lo sentiva chiaro dentro di sé. Aveva agito per istinto, ma ora guardando il padre sapeva di aver fatto la cosa più giusta. La vecchiaia è sacra. Non si può togliere il sacro da una vita senza vederla cadere inesorabilmente nel non senso. Enea non aveva più nulla di materiale, ma aveva ancora questo senso. Aveva ciò che glielo ricordava come un memoriale di carne e sangue. Ecco cos’era quell’anziano lì con loro: non solo un uomo a cui si riserva affetto, ma un uomo di cui si ha sempre bisogno. Ora Ascanio era sveglio e giocava attorno al nonno. La tenerezza che Anchise non ebbe mai per Enea era invece tutta per quel bambino. Anche questo è un mistero: perché si ha bisogno della mediazione di una generazione per aprire il cuore? Perché si diventa vulnerabili alla tenerezza solo quando si è ormai ferito qualcuno per la nostra omissione? Forse perché il mondo funziona sempre un po’ con il motore dei nostri sbagli. Anche l’infelicità è una buona motivazione per cercare di far meglio. Senza il tempo della vecchiaia non avremmo neppure l’occasione di riscattarci, di fare ciò che non abbiamo fatto, di recuperare ciò che ci era sfuggito per strada. Tutti questi pensieri affollavano la mente di Enea, anche se sentiva il peso di dover condurre tutta quella gente da qualche parte. Condurla a un nuovo inizio. Ma sapeva che sarebbe accaduto, e che bisognava solo essere ostinati. Glielo ricordavano gli occhi di suo padre, glielo imponeva la presenza di quel bambino.