Pensando a qualche decennio fa e provando a delineare gli schemi comunicativi che venivano giocati tra persone anziane e persone di altre generazioni emergono immediatamente alla memoria parole chiave, valori e caratteristiche quali rispetto, pazienza, ascolto, tempo.
Parlare con una persona anziana veicolava la ricerca di un sapere altrimenti non accessibile: dove la scuola e i libri non arrivavano, dove non arrivava l’esperienza diretta e concreta del mondo, c’era comunque a disposizione – come verrebbe definito oggi – un database, un vecchio baule da poter aprire all’occorrenza, da cui attingere, pieno di cose a volte utili, a volte sorprendenti, a volte proprio meravigliose.
In questo nostro tempo tutto invece sembra accessibile, a disposizione, facilmente reperibile; il tempo dell’attesa è quasi scomparso e a volte si ha addirittura la sensazione di poterci scegliere le informazioni che vogliamo, perché parlare, comunicare, sembra dover essere sempre un atto finalizzato all’affermazione di sé.
Parlare e comunicare con una persona anziana è un’altra cosa.
Esistono di fatto cambiamenti strutturali e funzionali che, nelle persone anziane, rendono necessari alcuni accorgimenti per fare in modo che gli scambi comunicativi risultino efficaci: pensiamo alle alterazioni percettive (la diminuzione dell’udito ad esempio), alla riduzione dei tempi di attenzione o all’allungamento dei tempi di reazione correlati alle modificazioni neurologiche che accompagnano normalmente l’invecchiamento.
Tali accorgimenti non devono però mirare soltanto ad aumentare le possibilità che la persona anziana ha di recepire le informazioni che le vengono trasmesse. Comunicare è infatti un processo molto più complesso che ha a che fare non solo con la parola ma soprattutto con la relazione tra i soggetti che vi partecipano.
Comunicare con una persona anziana vuol dire “curarsi” di lei: prendersi cura del suo sapere, del suo desiderio di condividerlo, del suo bisogno di entrare in relazione con il mondo esterno attraverso l’altro, del suo desiderio di conoscere l’interlocutore e di poter essere per lui un “valore aggiunto”. Non sono solo le informazioni a rappresentare un valore ma la presenza stessa dell’altra persona, la sua storia, il modo in cui quelle informazioni sono state acquisite.
Questo prendersi cura richiede tempo ma, al tempo stesso, genera un tempo libero dal continuo fare. Nel momento in cui si è di fronte ad una persona anziana – metaforicamente – dobbiamo “metterci comodi” ed iniziare ad ascoltare, a chiedere e a dire. Ci mettiamo comodi e aspettiamo anche, dando tempo all’altro di ricordare, di sperimentare vecchie e nuove emozioni, di parlare cercando le parole che a volte possono far fatica a venire fuori.
Parliamo in modo gentile, senza alzare la voce, non per non far agitare la persona anziana ma perché urlare dice all’altro che non vogliamo stare lì e non desideriamo accoglierlo nel nostro mondo interiore; vuol dire che vogliamo imporre il nostro sapere, il nostro pensiero, su quello dell’altro.
Parliamo lentamente non solo perché la persona anziana può far fatica a sentire e a capire ma perché parlare lentamente consente anche di prendersi delle pause. Le pause rappresentano un tempo in cui la persona sceglie cosa dire, e scegliere cosa dire per una persona anziana può essere un processo complesso di selezione tra una grande quantità di esperienze e contenuti: un processo quindi che richiede tempo.
La guardiamo negli occhi non solo perché in questo modo sente che ci interessiamo realmente a ciò che ci sta comunicando ma perché guardando i suoi occhi riusciamo a “sentire” l’emozione che sta condividendo e possiamo consentirgli di sentire la nostra. Accade inoltre che guardandosi negli occhi, soprattutto se ci si pone alla stessa altezza, ci si sente come interlocutori alla pari dove non c’è qualcuno che insegna e qualcun altro che apprende ma tutti possono giocare entrambi i ruoli.
Quando parliamo con una persona anziana possiamo mostrare oggetti o qualcosa che rappresenti un aggancio rispetto a ciò di cui stiamo parlando non perché altrimenti non capirebbe ma perché l’esperienza concreta del mondo è il punto di partenza di ogni sapere.
Insomma, quando scegliamo di comunicare con una persona anziana facciamo una scelta audace, è come se scegliessimo di partire per un viaggio con uno zaino molto leggero sulle spalle: pochi preconcetti e sovrastrutture, aperti a guardare il mondo presente, passato e futuro attraverso una lente speciale. Scegliamo di lasciarci conoscere e soprattutto scegliamo di scoprire il mondo dell’altro, scegliamo di andare piano, scegliamo di non camminare da soli ma insieme, di sostenere ed essere sostenuti. Scegliamo anche di non fare sempre ciò che vorremmo nel momento in cui lo desideriamo, scegliamo di imparare ad attendere.
In questo nostro tempo in cui aspettare pochi minuti qualsiasi cosa appare insostenibile, in cui fantasia e immaginazione non hanno lo spazio di svilupparsi, parlare e comunicare con una persona anziana può rappresentare un’opportunità davvero rara: un vero e proprio atto rivoluzionario!
Articolo a cura di:
Bianca Di Francesco, Psicologa e Responsabile del Servizio di Assistenza Domiciliare della Fondazione Alberto Sordi