Un interessante articolo di Enzo Riboni per il Corriere della Sera fa luce su un tema molto caro a Fondazione Alberto Sordi: l’invecchiamento attivo e gli indicatori che, con oggettività, ne permettono la misurazione.
Iniziamo subito con un dato che, in via preliminare, chiarisce quanto lunga sia la strada che divide l’Italia da standard in linea con la media continentale: nella classifica europea, infatti, il nostro Paese occupa soltanto la diciassettesima posizione.
Andiamo più a fondo: la United nations economic commission for Europe (Unece), ha predisposto l’Aai-Active ageing index, una batteria di ventidue indicatori che permette di comprendere quanto ancora un Paese debba fare per rendere i suoi anziani coprotagonisti della vita sociale: un obiettivo – come sottolineato da Riboni – che, per l’Italia, «sembra ancora molto lontano, visto che attualmente occupa una posizione di retroguardia nella classifica europea dell’Aai. E proprio questa debolezza nell’invecchiamento attivo sembra essere tra le cause principali che hanno portato il nostro Paese, prima del decollo della campagna vaccinale, a un tasso altissimo di letalità da Covid, superato soltanto, nell’Europa a 27, da Grecia, Ungheria e Bulgaria che, guarda caso, hanno indici Aai ancora peggiori del nostro».
Il rapporto letalità-invecchiamento attivo è stato messo a punto dall’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp).
Di seguito, riportiamo l’esito dell’analisi, riprendendo, integralmente, il testo del pezzo pubblicato dal Corriere della Sera e firmato Enzo Riboni.
I parametri
L’ente ha misurato la percentuale di morti rispetto ai casi di positività da Covid 19 ufficialmente registrati a marzo di quest’anno, collocandola al 3,1%, cioè a un livello significativamente più alto rispetto al 2,4% dell’area Eu27. Poiché nello stesso periodo in Italia l’età media dei deceduti causa pandemia era di 81 anni, diventa evidente l’interesse a capire le caratteristiche degli anziani del nostro Paese. Peculiarità che l’Inapp legge utilizzando l’indice Aai, che ha indicatori individuali raggruppati in domini quali l’occupazione, la partecipazione alla vita sociale e la vita indipendente sana e sicura. Sintetizzando le valutazioni su queste aree, si ottiene, appunto, il valore di Aai, che è tanto più alto quanto maggiore è la positività delle situazioni di invecchiamento attivo.
L’Italia raggiunge un punteggio Aai di 33,8, collocandosi così solo al 17esimo posto nella graduatoria dell’Europa a 27 che, mediamente, è sul valore di 35,7. Anche se in apparenza non siamo così lontani dalla media, il confronto con i Paesi più virtuosi e con quelli a noi più simili risulta impietoso. Al top della classifica, infatti, c’è la Svezia con 47,2 punti, seguita da Danimarca e Paesi Bassi a quota 43 e da Regno Unito a 41,3. La Germania è a 39,6 (sesto posto) e la Francia a 35,8 (ottava). L’Inapp, poi, sottolinea come in Italia le dimensioni dell’invecchiamento attivo non si manifestino in maniera omogenea in tutta la popolazione anziana. Per esempio, nel dominio «vita indipendente sana e sicura», c’è un differenziale di genere a svantaggio delle donne e una disparità geografica che premia il Nord penalizzando il Sud.
Il divario da istruzione
Ancora più accentuato è il divario dei livelli di invecchiamento attivo causato da una bassa istruzione e, soprattutto, da un modesto reddito familiare. «La pandemia – commenta il presidente dell’Inapp Sebastiano Fadda – ha messo in evidenza come un numero sempre maggiore di anziani si trovi in condizioni di vulnerabilità e fragilità. Il problema che va risolto è quello di mantenerli a lungo in salute, sia fisica che psichica. È necessario sviluppare un sistema di politiche di sostegno e prevenzione sul piano sanitario, diete salutari, esercizio fisico, mantenimento di attività cognitive, fruizione attiva del tempo libero, relazioni sociali ed affettive, transizioni verso l’abbandono degli impegni lavorativi». Il problema, però, è che a tutt’oggi in Italia non è stato ancora adottato un piano nazionale per le politiche di invecchiamento attivo, ma solo promozioni e prevenzioni molto frammentate a livello regionale.
La proposta di legge
Alla Camera giace in realtà una proposta di legge (2620) dal titolo «Misure per favorire l’invecchiamento attivo attraverso iniziative di utilità sociale e di formazione permanente», assegnata alla Commissione Affari sociali, ma a tutt’oggi bloccata. Tra le altre cose questa iniziativa punterebbe a sostenere le università della terza età, promuovere protocolli tra enti locali, aziende sanitarie, organizzazioni di volontariato e associazioni per favorire corretti stili di vita e realizzare strumenti di socialità, anche attraverso le nuove tecnologie.