Nel 1860 Giuseppe Garibaldi sta organizzando a Quarto la spedizione dei mille. Lo aiuta il colonnello Vincenzo Giordano Orsini (Toni Servillo), che sta selezionando i candidati alla spedizione. Chi viene arruolato riceve un fucile e una camicia rossa. Si presentano tanti giovani pieni di ideali risorgimentali ma anche due siciliani che dietro la veste di infiammati patrioti nascondono mire molto personali: Domenico (Salvatore Ficarra) vuole raggiungere la sua fidanzata che si trova a Catania che non vede da vari anni mentre Rosario (Valentino Picone) deve fuggire dallo stato sabaudo perché lo hanno scoperto imbrogliare a carte. Appena le camicie rosse sbarcano a Marsala le navi borboniche iniziano a cannoneggiare la spiaggia e a questo punto Domenico e Rosario decidono che non vale la pena rischiare la pelle e disertano proseguendo il viaggio da soli.
Il regista Roberto Andò si prende un ampio respiro, nelle due ore e 10 minuti del film, per raccontarci le vicende ottocentesche della sua amata Sicilia, iniziando con la partenza da Quarto per arrivare fino all’ingresso di Garibaldi a Palermo. Ma la sua attenzione è concentrata sulle vicende dei due guitti Rosario e Domenico e sull’impegno del colonnello Orsini che deve svolgere, con il suo reggimento, un’azione diversiva. Una vicenda realmente accaduta e raccontata ne Il silenzio di Leonardo Sciascia: il passaggio di Orsini per Corleone (poi vittima della rappresaglia delle truppe lealiste), per Giuliana (che rifiutò di accogliere i garibaldini) e poi per Sambuca.
Squadra che vince non si cambia. Dopo il meritato successo di La stranezza sul viaggio di Pirandello in Sicilia, il regista e sceneggiatore Roberto Andò mantiene lo stesso cast e ci racconta una storia strutturalmente simile alla precedente. Nel primo film all’illustre intellettuale siciliano (in quel caso Pirandello) si contrapponevano due figli del popolo che davano al drammaturgo la giusta saggezza e la fonte vitale per nuovi spunti narrativi. Qui la contrapposizione è più dolorosa: Toni Servillo è di nuovo l’austero filosofo che distribuisce pillole di saggezza a tutti ma esprime disprezzo nei confronti di quei due unici siciliani che hanno disertato, mentre tanti giovani provenienti da tutte le regioni d’Italia hanno abbracciato la causa della libertà. È probabile che l’autore abbia voluto, con il racconto dei due “meschini”, porre in evidenza l’aspetto più infelice delle vicende della sua isola: “I siciliani hanno perso ogni speranza di cambiare il corso della storia: ogni volta che hanno provato a migliorare la loro condizione i loro tentativi sono stati soffocati nel sangue”. Ma i personaggi di Domenico e Rosario non sembrano portare l’onere di un significato così profondo e doloroso. Appaiono piuttosto espressione di un più semplice cercare di sopravvivere. Solo verso la fine (spoiler) i due ritroveranno la loro dignità di siciliani: un risvolto in perfetta simmetria con il finale di La grande Guerra (1959) di Mario Monicelli. Sempre ottimi Ficarra e Picone mentre Toni Servillo resta bloccato in un personaggio impegnato a esprimere la propria filosofia di vita a ogni evento.
Recensione a cura di Franco Olearo familycinematv.it