Le calamite mi attraggono. E scusate il gioco di parole.
Ho iniziato a collezionarle da bambino: la prima era una sagoma di Paperino, che fu presto circondata da altri personaggi di cartoni animati. Poi la mania è andata crescendo e attraversando periodi: animali, ortaggi, oggetti di uso comune dalle pentole alle biciclette, monumenti famosi, personaggi trash, scritte. Il frigo di casa si riempiva ogni anno di più di forme e colori. Spostavo continuamente le calamite e le mettevo insieme per comporre frasi e raccontare storie. Che ne so, tipo: un elefante che dice “Keep calm” facendo surf su un hamburger. Stupidaggini così.
Qualche volta dicevo che da grande avrei messo in casa mia un frigo enorme. Non perché avessi intenzione di mangiare tanto (me lo dicono tutti che sono magrissimo), ma perché volevo avere più spazio per le calamite.
Quando al terzo anno di università sono andato a vivere da solo in un bilocale dei miei, non è stato facile selezionare i magneti che avrei portato con me, soprattutto perché le mie sorelle hanno una certa gelosia in materia, anche se non raggiungono il mio stesso livello di malattia.
Ne ho 246, naturalmente tutti diversi l’uno dall’altro. Formano un tappeto immenso e caotico tutt’intorno al mio frigo. Sono in tono con il disordine di casa mia, che era uno sfacelo, tranne quando mia madre faceva un giro di ronda. Forse anche per controllare che studiassi, perché ero al secondo anno fuori corso di ingegneria e mi mancavano tre esami. Non riuscivo a tenere un ritmo nello studio. Mi mettevo sul libro e dopo cinque minuti ero già altrove. Quando ero affidato a me stesso le perdite di tempo diventavano una palude.
Qualche mese fa abbiamo fatto da me una riunione di tutti e sei i cugini. Quando siamo tutti insieme ce la spassiamo e facciamo tardi a parlare di niente, ma quella sera dovevamo risolvere un problema. L’oggetto della riunione era decidere chi avrebbe accompagnato la nonna nel pellegrinaggio in Terra Santa. La nonna non se la sentiva di andare da sola e aveva offerto il viaggio a quello di noi che l’avesse accompagnata. Per un motivo o per un altro nessuno ci voleva andare, così alla fine abbiamo deciso di fare un sorteggio per decidere chi si doveva accollare questa cosa. Abbiamo fatto dei bigliettini tagliando il cartone delle pizze e sono uscito io.
Sulle prime ho detto che non se ne parlava. Ma non perché non mi piacciano i viaggi: un conto è andare in Croazia con gli amici, un altro andare in Terra Santa da solo con tua nonna! E per di più con la parrocchia, il che vuol dire una settimana a pregare tutto il giorno, io che non andavo a messa dalla cresima. Intendiamoci, non che non volessi bene alla nonna. La adoravo e andavo a mangiare da lei una volta alla settimana. Ma la cosa non ci stava. Ho provato a dire che avevo la sessione d’esami, ma non ci ha creduto nessuno.
Poi mia cugina, che fa psicologia, se n’è uscita così, guardando l’ammasso di calamite sul frigo: «Dai Andre, potresti fare il pellegrinaggio delle calamite!».
«Cioè?» «Cioè che in ogni posto compri una calamita e quando torni le metti tutte sul frigo, così guardandole ti ricordi del pellegrinaggio…».
L’esortazione non era molto convincente, ma l’idea mi ha intrigato. Almeno avrei avuto qualcosa da fare mentre mia nonna diceva il Rosario: cercare calamite nelle bancarelle. Così ho accettato, anche perché non mi rimanevano molte alternative, essendo stato prescelto dal sorteggio.
Siamo andati all’appuntamento alle 4.30 del mattino in aeroporto. Ero ovviamente il più giovane del gruppo, il secondo più giovane aveva 55 anni, così sono diventato subito la mascotte del parroco. Mia nonna mi presentava a tutti come se fossi un brillante studente, io che negli studi ho sempre fatto una gran fatica, ma a lei non ho avuto mai il coraggio di dirlo. Era orgogliosa di me.
La cosa che mi ha impressionato è la quantità di posti che abbiamo visitato. La guida era un arabo che ne sapeva a pacchi e qua e là sparava citazioni in aramaico. Ogni giornata aveva un programma serratissimo. Il don ogni tanto faceva delle mini prediche e leggeva brani della Bibbia. Nei vari posti si faceva la messa, ma io mi mettevo sempre in fondo. L’unica volta che sono stato vicino è stato a Cafarnao, in una messa all’aperto in cui mi hanno obbligato a fare il chierichetto e non ne ho fatta una giusta. Quando mi avvicinavo all’altare, il prete mi guardava terrorizzato.
Sul lago di Tiberiade ci hanno fatto una dimostrazione di pesca. A Nazaret abbiamo visitato la grotta dove c’era la casa di Maria. Poi abbiamo attraversato il deserto e siamo stati sul Mar Morto. Lì mia nonna ha insistito che facessi il bagno ed è stato pazzesco perché l’acqua è molto salata e ti spinge su, tanto che quasi non riesci a stare in piedi.
In quella settimana ho sviluppato una dipendenza da succo di melagrana e hummus. Il primo me lo offriva mia nonna ogni volta che ci fermavamo, il secondo è una specie di salsina di ceci buonissima che si mangia col pane arabo e ti davano ovunque.
A Gerico la nonna mi ha fatto la foto accanto a un dromedario e quest’ultimo mi ha leccato la faccia. È stato un po’ schifoso, ma molto divertente. Lì abbiamo comprato una tonnellata di datteri, per portarli a tutti i cugini. Naturalmente mia nonna comprava ovunque rosari, crocifissi e icone per le sue amiche. Io compravo calamite. Ne ho presa una con la sagoma di Israele, una del Mar Morto, una stella di Davide, una bandiera della Palestina, un dromedario.
Avevo spiegato a mia nonna la cosa del pellegrinaggio delle calamite e a un certo punto mi ha detto: «Andrea, ma se vuoi fare un pellegrinaggio devi prendere anche qualche calamita che parli di Gesù, sennò che pellegrinaggio è?». In fondo aveva ragione, così le ho detto che le calamite le avrei fatte scegliere anche a lei. Abbiamo preso un crocifisso, un’icona della Madonna, una colomba con l’ulivo nel becco, un’arca dell’alleanza, una croce di Terra Santa, un cesto con cinque pani e due pesci.
Il posto più bello è stato Betlemme. Per entrare nella basilica c’è una porta bassissima che puoi passare solo chinandoti e chiamano “porta dell’umiltà”. Poi si scende nella grotta e sotto un altare c’è una stella che segnala il luogo della nascita di Gesù. Una stella d’argento a quattordici punte.
La grotta era gremita di gente e una volta entrati ci siamo chinati per toccare la stella. È durato pochi secondi ma è stato intenso. La nonna era in lacrime e mi stringeva la mano come se fosse importante per lei che io le fossi accanto in quel momento. All’uscita le ho detto: «Nonna, guarda che io, anche se non pratico, un po’ di fede comunque ce l’ho».
«Lo so – ha risposto – tu farai cose belle, perché hai un cuore buono».
Non sono del tutto rinato, ma qualcosa mi ha lasciato, quel viaggio. Sono tornato con una montagna di calamite e un sacco di cose da raccontare. Soprattutto adesso ho sempre l’hummus in frigo.
La nonna è morta esattamente un mese dopo il nostro ritorno. In quel mese, quando andavo a pranzo da lei c’era una complicità nuova e ridevamo pensando al dromedario che mi lecca la faccia e all’arabo che cerca di venderle qualunque cosa. Al suo funerale ho pianto come un bambino. Qualche giorno dopo mia zia mi ha portato una bustina, trovata tra le cose della nonna, con su scritto il mio nome. C’era la calamita della stella di Betlemme. L’aveva presa per me, ma poi si era scordata di darmela.
Sono passati diversi mesi ed eccomi qua. Oggi per la prima volta in vita mia ho al collo una cravatta: mi sono laureato e avrei voluto che lei fosse orgogliosa di vedermi in questo giorno.
Solo, nella mia cucina, guardo il frigorifero. Su di esso ho tracciato un pellegrinaggio con tutte le calamite che ho portato da quel viaggio. È come una strada, che risalta nell’ammasso delle altre calamite, fermandosi in alcune tappe. Come punto di arrivo ho messo la stella di Betlemme. La guardo e penso alla nonna.
Un pellegrinaggio è un viaggio per scoprire chi sei, cosa vuoi, per incontrare un senso… forse per incontrare Dio. L’importante è non farlo da soli.
Il mio pellegrinaggio l’ho fatto con la nonna. Lei è arrivata alla meta, io sono ancora in cammino.
Racconto tratto da Domani è sempre Natale di Luigi Vassallo
Edizioni ARES 2024