Nel mondo, sono milioni gli uomini e le donne affetti da demenza.
La forma più comune, come riporta l’Organizzazione Mondiale della Sanità, è l’Alzheimer con il 60-70% dei casi.
Ne abbiamo parlato con Pietro Vigorelli, medico, psicoterapeuta ad indirizzo conversazionale, consulente di formazione per le RSA: specialista in Medicina interna e in Psichiatria, è promotore del Gruppo Anchise dell’Approccio Capacitante.
Vigorelli tiene corsi e seminari nelle Università degli Studi di Milano e di Pavia, nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, nella Scuola di Psicoterapia IRIS di Milano.
Il suo ultimo libro, Dialoghi Imperfetti. Per una comunicazione felice nella vita quotidiana e nel mondo Alzheimer (Franco Angeli) è un viaggio che indaga non soltanto la malattia ma l’intero universo delle relazioni umane.
È stata, con noi della Fondazione Alberto Sordi, una conversazione piacevole in cui la distanza fisica non ha impedito di stabilire, con il nostro ospite, una connessione empatica: un dato, questo, che riflette il senso più profondo dell’approccio capacitante.
«Per ascoltare bisogna tacere».
Un’affermazione semplice ma complessa, fulminea nell’offrire un quadro, una chiave di lettura che riguarda l’Alzheimer ma anche l’intero e complesso sistema delle relazioni umane.
«Ho fiducia nei progressi che, nei prossimi anni, si registreranno sul piano farmacologico: non so quanto ci vorrà, ma è certo che sul mercato saranno reperibili farmaci capaci di frenare l’avanzata dell’Alzheimer. Resta il fatto che ad oggi, nella nostra disponibilità, vi sono soltanto farmaci che contrastano problemi comportamentali dei pazienti; tra questi, agitazione e aggressività sono alcuni tra i più diffusi. Ma questi ultimi sono sintomatologie che non fanno parte della malattia: piuttosto, sono reazioni del paziente che percepisce di trovarsi in un ambiente incapacitante: un ambiente che non si pone domande».
Attenzione all’altro: rispetto per l’uomo e pragmatismo scientifico sono due punti fermi nella proposta terapeutica di Vigorelli: «l’obiettivo che bisogna darsi è quello di una convivenza – tra paziente, familiari e operatori – che possa essere il più possibile felice: è questo il principio fondamentale che ho appreso – e che quindi promuovo – in oltre venti anni di ricerca e lavoro sul campo. Considerato che la malattia c’è, dobbiamo imparare a conviverci e a stare bene con chi ne è colpito».
Uno degli assiomi dell’approccio capacitante elaborato dal prof. Vigorelli parte da una constatazione apparentemente immediata: «spesso, al malato di Alzheimer, si pongono delle domande a cui il paziente non sa – perché non può – rispondere. Molte volte, proprio la frustrazione che ne deriva è causa di alcune reazioni difficili da gestire e che ci pongono difronte alla necessità di ribaltare il paradigma: i famigliari del paziente e tutti coloro che ne gestiscono la cura, più che interrogare, dovrebbero “interrogarsi”. Se la persona che ho davanti si esprime in modo incomprensibile mi chiedo: “cosa vuole comunicarmi? Cosa c’è alla base di alcuni comportamenti bizzarri? Cosa posso fare per condividere in maniera piacevole il tempo trascorso insieme?” Per riuscire a stabilire una comunicazione accettabile con le persone affette da demenza bisogna essere pronti a mettersi in discussione e ad operare dei cambiamenti sul proprio modo di approcciarsi all’altro. E questo, come è deducibile, è un principio da applicare ad ogni relazione: anche a quelle che riguardano interlocutori sani».
Nel nostro Paese, secondo la stima dell’Osservatorio, soffrono di demenza circa un milione di over 65 (e pressappoco 40mila tra i 50-64 anni), di cui 600mila con Alzheimer: sapere ascoltarli, rispettandone sempre la dignità di donna o di uomo, è un dovere umano e terapeutico.
Concetti, questi ultimi, in cui Fondazione Alberto Sordi crede e che pone alla base delle proprie attività al servizio degli anziani fragili.