Il volume “Accordi che curano” (Editrice Dapero, 2023; 141 pag.) curato da Gabriella Facchinetti affronta una questione non nuova per chi si occupa di invecchiamento: l’integrazione tra servizi sanitari e socio-assistenziali. È un tema che da oltre trent’anni è oggetto di dibattiti, convegni, normative nazionali e regionali, e che tuttavia sembra ancora essere ancora un desiderio non realizzato, una buona intenzione che non ha mai preso veramente piede nella realtà dei servizi e, soprattutto, dei cittadini che vivono sulla propria esperienza l’inadeguatezza del sistema. Nonostante il tema ben conosciuto, “Accordi che curano” si distingue per la sua originalità nel trattare questo argomento, grazie ad alcune caratteristiche.
La prima è la interdisciplinarietà dei contributi raccolti, che come indicato nel capitolo 4, permette di analizzare, sintetizzare “e armonizzare i collegamenti tra le discipline in un insieme coordinato e coerente” (p. 101). Il volume presenta quindi contributi di una pluralità di soggetti che riflette il complesso sistema di attori che gravita attorno al tema: operatori; familiari; studiosi del settore; istituzioni. Questo esercizio di integrazione di discipline e competenze attorno a una cornice comune rende credibile e solido l’argomento a favore della ricomposizione dei settori sanitario e socio-assistenziale. Inoltre, la curatela è particolarmente efficace nell’organizzare contenuti in maniera tale da sottolineare l’elevato grado di complementarietà tra le prospettive riportate, nonostante l’eterogeneità di ruoli e background degli autori coinvolti.
La seconda è solidità dei contenuti, che alternano esperienza diretta degli addetti ai lavori, evidente nella prima parte del volume dedicata al resoconto del workshop dedicato al tema oggetto del volume, e evidenze emerse nella letteratura scientifica a supporto delle tesi e delle proposte riportate, illustrate nella seconda parte del volume.
La terza è la natura propositiva del testo che, pur basandosi su dati e evidenze solide e incontrovertibili, non manca di offrire al dibattito piste di lavoro concrete per non perdere l’ennesima occasione di favorire l’integrazione tra sanitario e socio-sanitario offerta da PNRR e dalla Riforma Anziani attualmente in discussione e invertire la rotta rispetto a esperienze anche recenti di dubbia efficacia.
Nel merito dei contenuti, a livello trasversale dal volume emerge chiaramente la centralità della persona nel guidare qualsiasi ragionamento. In particolare, dalla lettura di diversi contributi appare evidente come il ripensamento delle politiche legate all’invecchiamento non possa che passare per una riflessione condivisa su per chi sono i servizi oggi. I dati e la diagnosi del sistema restituiscono infatti un quadro che, semplificando, vede un’offerta di servizi frammentata tra silos istituzionali che non comunicano tra loro, con un’impostazione rimasta ferma a quando la piramide demografica era invertita rispetto a quella attuale e le persone andavano in RSA quando ancora autosufficienti, mentre la rimanente parte degli anziani rimaneva al domicilio, supportata dalle cure della propria rete familiare.
Oggi questo sistema risulta obsoleto e sotto pressione cronica: l’RSA è ormai un setting assistenziale dalla connotazione sanitaria, dove gli ospiti hanno oltre 80 anni e un tempo medio di permanenza del servizio di circa un anno. La rete domiciliare è insufficiente e la ricerca di una soluzione assistenziale è demandata alle famiglie, che – quando ci sono – spesso ricorrono ai ricoveri ospedalieri come unico spiraglio per trovare una risposta universale quando il resto del sistema sembra non riuscire a guardare in faccia l’enormità del problema della gestione dell’invecchiamento nella seconda società più anziana al mondo. A questo proposito, la testimonianza di Simona Orlando, figlia di una persona con Alzheimer che porta la propria esperienza nel libro, arriva dritta come un pugno nello stomaco, riuscendo a trasmettere tutta la solitudine delle famiglie e delle persone anziane di fronte a un sistema che, tutto concentrato sui propri vincoli, ha smesso da tempo di costruire risposte attorno ai bisogni dei destinatari.
Per invertire la rotta serve un cambio culturale importante e su diversi livelli, con implicazioni pratiche ben delineate nel libro. La prima è riconoscere che l’invecchiamento è un problema del sistema pubblico, non di singoli servizi. Può sembrale un passaggio triviale, ma non lo è: è la precondizione per integrare soggetti, competenze, risorse che altrimenti possono non vedere la convenienza di allargare il governo del problema, che aumenta la complessità gestionale. Per farlo, è fondamentale avere piena consapevolezza del fenomeno, esercizio reso possibile solo in presenza di un sistema di conoscenza unico e nazionale, in grado di informare operatori e studiosi. La consapevolezza del problema quale sistemico e una conoscenza solida e aggiornata sono la base per costruire una visione su quale vuole essere il ruolo del settore pubblico nel rispondere alla quota sempre crescente di cittadini che invecchiano.
La visione dovrebbe tradursi in programmazione integrata, definendo chiare priorità di intervento e adeguando il sistema di competenze, tenendo presente due punti di attenzione a riguardo. Il primo è l’esigenza di affiancare alla specializzazione, su cui il nostro sistema sanitario è tra i più avanzati, con il coordinamento e l’integrazione tra le stesse, come ampiamente descritto nel capitolo 3.
Dall’altro lato, sapendo che qualsiasi attività di programmazione deve fare i conti con la carenza ormai strutturale di personale, che richiede di mettere in discussione le competenze presenti nei servizi e la distribuzione di attività tra figure professionali. L’attività di programmazione dovrebbe trovare compimento nella progettazione e erogazione di servizi e interventi integrati che siano progettati attorno alle sfide del presente e del futuro, in luogo al mantenimento di un’architettura ormai datata e distonica rispetto alla struttura socio-demografica del paese. In questo senso, la tecnologia è a più riprese identificata come possibile supporto, ma non soluzione, al ripensamento dei servizi e alla riduzione dell’impatto della crisi del personale in questa fase storica. In altre parole, si tratta di non inseguire la tecnologia come un fine in sé, quanto identificarla quale leva strategica di innovazione dei servizi per allargare la platea di beneficiari e ripensare natura, carichi e distribuzione del lavoro.
È solo attraverso un lavoro di rete che affronti contestualmente, pur con competenze e strumenti diversi, la totalità degli aspetti sopra delineati, che si potrà immaginare di creare le condizioni per integrare servizi sanitari e socio-assistenziali, aumentando l’efficacia degli interventi pubblici e garantendo l’equità del sistema. Per farlo, è imperativo superare la dimensione retorica che spesso ha caratterizzato l’integrazione tra i sistemi, di cui tutti parlano ma nessuno sembra voler veramente farsi carico. In questo senso, una pista di lavoro utile è nel titolo di questo libro, ben spiegata nelle conclusioni: è necessario far riconoscere l’esigenza di un “accordo” tra tutti gli attori che si occupano di cura, che riconoscano il vantaggio reciproco nell’affrontare uniti una sfida troppo grande perché sia affrontata singolarmente.
Ne va della tenuta sociale del paese e della capacità del sistema di garantire parità di trattamento e tutela della dignità dei singoli in ogni fase della propria vita.
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Eleonora Perobelli
Lecturer di Public Management presso SDA Bocconi School of Management, con cui collabora dal 2017. Ricercatrice presso il Centro di Ricerche sull’Assistenza Sanitaria e Sociale (CERGAS) della Scuola nell’Area Social Policy e Service Management.