Quello della salute mentale rappresenta sicuramente un tema emergente, che negli ultimi anni ha giustamente iniziato a “farsi spazio”, a cercare la giusta collocazione nell’ambito dei dibattiti, dei confronti scientifici e politici e nella programmazione di attività volte alla tutela del benessere psicologico della popolazione.
Certamente dobbiamo riconoscere che siamo soltanto all’inizio di un lungo processo e che, se l’attenzione alla salute mentale di bambini e adolescenti appare rilevante e sembra aver dato vita ad una pluralità di iniziative, la preoccupazione per il benessere psicologico delle persone anziane è un fenomeno sicuramente più marginale.
Tale marginalità non è però sostenuta da considerazioni scientifiche.
L’invecchiamento infatti comporta una grande quantità di eventi stressanti e potenzialmente patogeni a fronte di una riduzione di alcune risorse, sia individuali che sociali: basti pensare all’aumento della fragilità fisica, all’aumentata frequenza dei lutti, all’isolamento sociale, che spesso le persone anziane sperimentano.
Assistiamo così, molto spesso, all’emergere di segnali, comportamentali, psichici e somatici.
Gli episodi depressivi, la riduzione degli atti di cura verso il sé e verso la propria casa, la “fuga” dai contesti sociali sia familiari che extra-familiari, l’attivazione di comportamenti in grado di aumentare il rischio di insorgenza di patologie o addirittura il rischio di morte, sono soltanto alcuni dei segnali che più frequentemente si riscontrano: sintomi che ci comunicano la sofferenza profonda che la persona anziana sta sperimentando.
Essi costituiscono una vera e propria richiesta di aiuto a cui noi, some operatori, siamo chiamati a dare una risposta efficace.
Dall’esperienza quotidiana del lavoro con gli anziani abbiamo imparato come tale risposta debba declinarsi in una serie di azioni che mirano a mettere la persona al centro della propria esistenza.
Riattivando una progettualità, a volte percepita come priva di senso, a causa di una aspettativa di vita limitata, la persona anziana comprende di avere di fronte a sé una serie di possibilità.
Si possono conoscere nuove persone e costruire nuove relazioni sociali caratterizzate da fiducia, empatia, condivisione di intenti ed emozioni; si può iniziare a coltivare nuovi o antichi interessi, si possono intraprendere nuove attività, si può iniziare a giocare un ruolo attivo nell’ambito della propria vita e della vita degli altri.
La tutela della salute mentale delle persone anziane non passa quindi attraverso atti assistenzialistici.
Gli anziani non hanno bisogno di essere assistiti, ma hanno bisogno di esistere e di essere riconosciuti come portatori di questo bisogno. Ciò significa che noi tutti dovremmo iniziare a percepire il valore inestimabile di ogni vita fino al suo ultimo giorno.
La tutela della salute mentale della persona anziana rappresenta quindi una sfida umana e sociale.
E’ umana nella misura in cui gli anziani conservano il diritto a “stare bene”, ad essere felici, e tale diritto non si modifica in base alla lunghezza della prospettiva di vita.
E’ una sfida sociale nella misura in cui un anziano che “sta bene” contribuisce esso stesso al benessere dell’intera società, andando ad incidere sulla felicità di coloro che interagiscono con lui.
Lavoriamo quindi non per gli anziani ma con gli anziani per mettere a loro disposizione maggiori e migliori strumenti e risorse che poi ognuno potrà utilizzare per rendere la propria vita un «autentico capolavoro» [Giovanni Paolo II].
Siamo consapevoli che questo rappresenta un compito estremamente impegnativo ma – del resto – «old age is not for the fainthearted» (trad.: La vecchiaia non è per i deboli di cuore – Alan Gelenberg).
Articolo a cura di Bianca Di Francesco – Psicologa Associazione Alberto Sordi
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